A. Felici u.a. (Hrsg.): Stucchi e stuccatori ticinesi tra XVI e XVIII secolo

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Titel
Stucchi e stuccatori ticinesi tra XVI e XVIII secolo. Studi e ricerche per la conservazione


Herausgeber
Felici, Lberto; Jean, Giacinta
Erschienen
Florenz 2020: Nardini Editore
Anzahl Seiten
236 S.
von
Mirko Moizi, Accademia di architettura, Università della Svizzera italiana

Forse mai come in questi ultimi tempi la produzione degli stuccatori nativi dei territori della Svizzera italiana è stata oggetto di approfonditi studi volti a portare alla luce i vari aspetti riguardanti la realizzazione delle loro opere, e il presente volume, naturale conseguenza del convegno organizzato nel 2018 al Campus Trevano della SUPSI, è uno degli ultimi esempi di questo rinnovato interesse. Un interesse che riguarda in particolar modo quegli artisti nativi dei territori della regione dei laghi che, a partire almeno dalla fine del Cinquecento, assursero al ruolo di riferimenti privilegiati per la commissione di cicli decorativi in stucco: nelle terre d’origine sicuramente, ma pure al di fuori dei confini delle stesse. E se è vero che nel volume si parla principalmente di stuccatori ticinesi (con questo aggettivo che, seppur impiegato in maniera anacronistica, fa comprendere gli orizzonti geografici entro i quali si muove il libro), è altrettanto vero che i contesti toccati dai quattordici contributi che lo compongono non si limitano ai paesi dell’attuale Cantone Ticino, pur presenti – tra gli altri – con Locarno, Carona, Morbio Inferiore e Castel San Pietro, ma spaziano da Friborgo a Venezia, da Zurigo a Treviso, da Genova a Udine, da Costanza a Roma, rendendo bene l’idea di quella che era una delle prerogative principali degli artisti di queste zone: la continua mobilità, i costanti soggiorni in località più o meno lontane, dovuti alle chiamate dei facoltosi mecenati europei o anche alla necessità di trovare cantieri in cui operare, e alternati agli stagionali ritorni in patria (soprattutto nei periodi invernali). Si pensi anche solo a Domenico Fontana da Muggio, uno stuccatore attivo tra Cinquecento e Seicento nelle terre della Regio Insubrica ma rintracciato anche a Vicenza e a Roma, oppure a Isidoro Bianchi da Campione, pittore-stuccatore documentato nel suo paese natìo e in altri borghi ceresiani e lariani che tuttavia deve gran parte della sua fortuna ai lavori ottenuti a Torino e dintorni. In questa occasione, Alberto Felici e Giacinta Jean, i curatori che nel loro contributo di apertura guidano il lettore spiegando tematiche, conquiste e criticità che caratterizzano il volume in questione ma pure il progetto The Art and Industry of Ticinese Stuccatori from the 16th to the 17th Century alla base dello stesso, hanno dato vita ad un prodotto caratterizzato da un approccio poliedrico, cioè non incentrato esclusivamente sul punto di vista degli storici dell’arte, pur basilare in ogni ricerca di questo tipo, ma aperto anche alle altrettanto determinanti indagini archivistiche, che sovente diradano dubbi o spalancano le porte verso nuove strade ancora da battere, e alle considerazioni tecniche dei conservatori-restauratori, che forse più di altri conoscono a fondo i segreti della materia. Ecco quindi Lucia Aliverti che indirizza le proprie ricerche verso la comprensione degli aspetti relativi all’organizzazione delle botteghe e dei cantieri analizzando l’ampia documentazione conservata in oltre settanta archivi, che le ha consentito di delineare con precisione gli obblighi dei committenti e quelli degli artisti, di chiarire i rapporti lavorativi tra le varie maestranze (che spesso si associavano per ottenere un numero maggiore di commissioni) e di ottenere più informazioni sull’approvvigionamento e sulla lavorazione dei materiali; oppure Anastasia Gilardi che ripercorre e ricostruisce alcune vicende di Francesco Pozzi da Castel San Pietro e dei suoi figli Carlo Luca, Giuseppe e Domenico attraverso un epistolario e qualche disegno oggi dispersi, preziosi documenti che permettono di ottenere utili indicazioni per la ricerca storico-artistica ma pure di conoscere le preoccupazioni, le speranze e le gioie di una famiglia di stuccatori attiva nel Settecento; o ancora Carla Giovannone che propone una rilettura tecnica delle fonti documentarie riguardanti l’intervento di Giuseppe Bernascone da Riva San Vitale nella chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma, tramite la quale si sono delineati con maggior puntualità costi e modalità lavorative del cantiere borrominiano attorno al 1640.

Ma nel volume, che annovera anche la fin troppo rapida disamina di Stefano Vassallo relativa all’impiego della policromia negli stucchi genovesi realizzati tra tardo Cinquecento e Seicento, non mancano nemmeno nuove ipotesi attributive basate sugli aspetti più prettamente stilistici delle opere. È proprio in tal senso che vanno intese, ad esempio, le proposte di Edoardo Agustoni per l’attività di Antonio Roncati, uno stuccatore di Meride attivo tra la seconda metà del Seicento e l’inizio del Settecento al quale lo studioso avvicina alcuni stucchi conservati in Ticino e in Svizzera interna, tra cui meritano sicuramente menzione quelli della casa parrocchiale di Magliaso e quelli della sala al pianterreno del Municipio di Zurigo, strettamente imparentati con le opere eseguite dallo stesso artista nella chiesa parrocchiale del suo paese d’origine. E tra ricerche d’archivio e analisi stilistiche spuntano pure scoperte di altro tipo, come quella riguardante il riconoscimento della firma del pordenonese Angelo Pujatti/Pujati in una cornice a stucco di Palazzo Sarcinelli a Conegliano, piccola perla all’interno del più articolato contributo di Francesco Amendolagine, Stefano Noale e Lisa Privato incentrato sulle presenze lacuali nei contesti veneti e friuliani. Nella seconda parte del libro l’attenzione si sposta verso le pratiche di conservazione e di restauro attraverso una selezione di casi-studio. Il primo (e più corposo) è quello riguardante la parrocchiale di Sant’Eusebio a Castel San Pietro, chiesa in cui operarono gli stuccatori Giovanni Battista Barberini da Laino d’Intelvi, Antonio Carabelli da Obino e il già citato Francesco Pozzi ed edificio al quale sono dedicati gli interventi di Lara Calderari, Francesca Albani, Massimo Soldini, Christina Otth con Virginia Mantovani e Lucia Derighetti. Il secondo caso-studio concerne invece le varie operazioni condotte nell’oratorio Imbonati a Cavallasca, situato nella vicina provincia di Como e coerente con i temi qui trattati perché l’apparato decorativo in stucco è attribuito ad Agostino Silva da Morbio Inferiore, analizzate nella descrizione-relazione preparata da Alberto Felici, Giovanni Nicoli, Marta Caroselli, Stefania Luppichini, Eleonora Cigognetti e Anna Dottore. Si tratta di contributi che, per loro stessa natura, propongono un registro linguistico a tratti molto tecnico e forse troppo specialistico, soprattutto se confrontato con quello dei saggi improntati più verso un approccio storico-artistico; ma l’apparato iconografico degli stessi, composto da riprese radiografiche, dettagli osservati da un punto di vista molto ravvicinato e confronti tra prima e dopo il restauro, consente una comprensione delle problematiche conservative (su tutte, le efflorescenze saline, la principale causa di degrado degli stucchi) e delle soluzioni adottate (come l’innesto di perni e l’iniezione di malta nelle fessure) abbastanza agevole anche per i meno esperti.

Chiudono il volume le interessanti considerazioni di Tiziana Sandri sugli inevitabili restauri ai quali le opere in stucco, estremamente delicate e dunque facilmente esposte al deterioramento, sono andate incontro nel corso dei secoli, tra integrazioni dettate dalla necessità di impedire un ulteriore degradamento della superficie e completamenti di porzioni mancanti dettati forse più da esigenze estetiche. Lamentando il disinteresse mostrato dalla critica su queste problematiche fino a non molto tempo fa e portando a esempio le varie soluzioni adottate per gli interventi condotti sugli stucchi della Reggia di Venaria Reale, la studiosa invita il lettore a riflettere su quanto alcune scelte integrative, più comuni nei restauri delle opere in stucco che non nei restauri di altre tipologie di manufatti artistici, rischino, quando non accuratamente pianificate, di modificare la corretta visione d’insieme dell’opera. (Mirko Moizi)

Zitierweise:
Moizi, Mirko: Rezension zu: Stucchi e stuccatori ticinesi tra XVI e XVIII secolo. Studi e ricerche per la conservazione, a cura di A. Felici, G. Jean, Firenze 2020. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2021, Vol. 170, pagine 98-100.

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Archivio Storico Ticinese, 2021, Vol. 170, pagine 98-100.

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